Notizie Storiche – DAL SEI ALL’OTTOCENTO

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(Foto Emanuele Bennici)

Nel pomeriggio del Giovedì Santo i confrati delle varie compagnie della città, preceduti dalla loro croce processionale, da uno o più tamburini che, lentamente e fra lunghe pause, rullando, battevano pochi tocchi dolorosi sul tamburo scordato, percorrevano le vie della città per le visite ai cosi detti sepolcri di sette o più chiese.

L’Arciconfraternita del Crocifisso, partendo dalla Cattedrale, di solito, visitava le chiese dell’Itria, di S. Michele, dei monasteri di S. Vincenzo, della Madonna del Soccorso (Badiola), della Badia Grande o di S. Spirito (dove più e sontuosi erano i sepolcri, colmi di fiori, di lavureddi (grano o lenticchie fatti germogliare, in piatti, al buio e perciò di color bianco), S. Pietro e poi le chiese dei Religiosi: S. Francesco d’Assisi, S. Domenico, Carmine, S. Francesco di Paola, infine Addolorata e S. Croce per poi tornare in Cattedrale.

La mattina del Venerdì Santo i Confrati partecipavano all’azione liturgica e all’adorazione della Croce nella Cattedrale e poi, posto il Crocifisso sul cataletto e copertolo con un lenzuolo bianco, in processione, ma in forma privata, senza lumi e senza canti, ma pregando, lo portavano al Calvario dove già aspettava una gran folla. Verso l’una il Cristo veniva posto in croce da tre fratelli tra i più anziani.

La cerimonia si svolgeva lentamente: dalla croce (che tutto l’anno rimaneva sempre fissa sulla cima della collina) pendeva ad ansa, piegato a fascia, un gran lenzuolo; due lunghe scale poggiavano, dalla parte posteriore, ai bracci della croce; gravemente vi salivano due confrati mentre gli altri, accostavano il Cristo, gli facevano scorrere il lenzuolo sotto le ascelle e mentre i due dall’alto traevano a se lentamente il lenzuolo, lo sollevavano.

Quando le braccia raggiungevano l’altezza adatta, il confrate che stava sulla scala sinistra, inchiodava la mano alla croce: il silenzio fino allora attento e trepido veniva spezzato da uno strano battito, quasi ritmato, di mani: i presenti, tutti, secondo l’antichissimo costume, per mostrare dolore e partecipazione alle sofferenze altrui, si percuotevano le guance e le gote ad ogni colpo di martello. Cosi avveniva per la destra e per i piedi.

Dopo la crocifissione iniziava la predica in cui il quaresimalista della cattedrale o altro predicatore, dividendola in vari episodi, narrava la passione del Signore.

Durante le pause si cantavano dei mottetti o delle strofe corrispondenti alla narrazione, le cosi dette “lamentazioni”, svolte su una melodia monodica che nelle si finali si placava in cadenze polifoniche, o in falso bordone. […]

La predica, verso le quindici, arrivava al racconto della morte di Gesù, mentre l’oratore la narrava, si schiodava il laccio che teneva eretta la testa del Signore e la si faceva abbassare lentamente.

Seguiva una lunga pausa di silenzio angosciato, rotto solo, di tanto in tanto, da qualche sospiro e dalla recita sommessa di qualche preghiera.

La gente, per un paio di ore, si accostava al Crocifisso per baciare e suoi piedi o la croce perché, secondo la tradizione, Gesù rimase in croce tre ore vivo e tre ore morto.

Infine il predicatore narrava la deposizione di Gesù e la sua sepoltura.

Allora due frati, o due sacerdoti, salivano sulle scale poggiate alla croce e, steso il lenzuolo sotto le braccia del Crocifisso, mentre altri confrati lo trattenevano con le cocche, schiodavano prima le mani e poi i piedi, colpendo i chiodi con il martello.

Ad ogni colpo rispondeva lo spiccichio delle mani con cui tutti si davano sulle guance(1).

Deposto il Crocifisso sul cataletto – che ora veniva portato da quattro frati cappuccini – si formava la processione: precedeva l’Arciconfraternita del Crocifisso – l’unica ammessa la sera del Venerdì Santo – seguivano il clero e il Capitolo e spesso anche il Vescovo.

Il corteo al rossastro bagliore dei blandoni, nel silenzio, rotto solo da lento salmodiare del clero e dei confrati e, di tanto in tanto, dal canto straziante delle lamentazioni, si inerpicava per le strade buie della vecchia città, sino alla cattedrale dove di scioglieva dopo aver deposto il Crocifisso nell’Oratorio dell’Arciconfraternita.

Note:
1) Sembra che solo il Venerdì Santo del 1810 la funzione si sia svolta in cattedrale, non sappiamo per quale motivo. Cfr. ACA, Atti Capitolari alla data 12-4-1810

Tratto da:  L’arciconfraternita del SS. Crocifisso di Agrigento di Mons. Domenico De Gregorio. Agrigento 1994.

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